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Vaso con musicisti neosumerico (2250 - 2000 a.e.v.)

ph. Mathieu Rabeau - Dipartimento delle antichità orientali, Museo del Louvre, Parigi

Tamburellista, Diqdiqqah (Ur, 2000 - 1600 a.e.v.)

The British Museum, Londra

Tamburellista, Iraq (II millennio a.e.v. )

ph. Osama Shukir Muhammed Amin - Ancient Orient Museum, Istanbul, Turchia

Sacerdotessa (2112 - 1763 a.e.v.)

Dipartimento delle antichità orientali, Museo del Louvre, Parigi

Tamburellista, Mesopotamia

ph. Raphaël Chipault - Dipartimento delle antichità orientali, Museo del Louvre

Balag-Di

Una iscrizione sumerica del III millennio a.e.v. testimonia che la suonatrice di balaĝ-di del tempio del dio della Luna (Sin) della città di Ur era una nipote di Naram-Sim, re di Akkad; si tratta di Lipushiau, sacerdotessa del tempio (Thureau-Dangin).

La Mesopotamia è di particolare interesse per gli studiosi perché le evidenze archeologiche provenienti dalla regione (manufatti, rappresentazioni artistiche e documenti scritti) la collocano tra le prime culture documentate nella storia della musica. Al V millennio a.e.v. risale la scoperta di uno strumento a fiato in osso; raffigurazioni di musica e musicisti compaiono nel IV millennio a.e.v.; e più tardi, nella città di Uruk, i pittogrammi per ‘arpa’ e per ‘musicista’ sono presenti tra i primi esempi conosciuti di scrittura.
Molto di ciò che sappiamo sulla musica mesopotamica proviene infatti dalle tavolette di argilla in cui, tramite la scrittura detta ‘cuneiforme’, sono stati registrati testi che elencano generi e titoli di canzoni, istruzioni su come suonare gli strumenti e testi di teoria musicale. Mettendo insieme le migliaia di tavolette sopravvissute ed esaminando le opere d’arte e gli strumenti arrivati fino a noi, siamo in grado di offrire un quadro abbastanza dettagliato della cultura musicale mesopotamica.
Una grande varietà di percussioni fa parte di questa pratica musicale: erano costruite in legno o in metallo e potevano essere di grandi, medie e piccole dimensioni.

Un importante strumento a percussione suonato da e per la dea Inanna/Ištar è il sumero giš.balaĝ-di, dove il determinativo giš (‘legno’) indica il materiale in cui è costruito.
Inizialmente si pensava che il balaĝ-di fosse uno strumento a corde; il logogramma sumero balaĝ rappresentava infatti fino al III millennio a.e.v. un’arpa o una lira, strumento che accompagnava la preghiera detta Balaĝ dalla quale aveva preso il nome. Oggi la maggior parte delle studiose e degli studiosi concorda sul fatto che il significato del logogramma sia cambiato nel corso del tempo ed abbia poi finito per indicare un tipo di tamburo.
Nella liturgia della religione sumero-accadica le preghiere Balaĝ hanno svolto un ruolo importante nei culti templari delle città dell’antica Mesopotamia (Eridu, Nippur, Uruk, Ur, Ĝirsu), probabilmente già nel III millennio a.C. e fino al I secolo a.C.; si trattava di preghiere per placare l’ira divina nel caso di grandi disastri che coinvolgevano l’intera città o il regno, ma il termine serviva a indicare anche i lamenti funebri. Erano scritte nel registro sumerico Emesal, un dialetto estremamente complesso usato in origine esclusivamente da sacerdotesse o cantanti donne, e nei testi letterari e nei lamenti rituali serviva a riportare i discorsi delle donne e delle dee.
Durante queste preghiere venivano suonati diversi strumenti, tra i quali anche il tamburo lilissu, un tipo di timpano (ma secondo alcuni autori, un piccolo tamburo a cornice). Secondo Gabbay il lilissu ha finito per sostituire lo strumento a corda, e dato che le preghiere Balaĝ hanno continuato ad essere associate agli strumenti che le accompagnavano, la parola balaĝ ha cominciato ad essere usata come un nome secondario anche del timpano lilissu, perchè sostanzialmente lo strumento balaĝ (quale che fosse) era quello che accompagnava le preghiere Balaĝ.

Balaĝ sembra derivare dal sumerico bal, ‘battere’, ma poteva significare anche ‘contentezza, suono gioioso’ oppure ‘grido, urlo’; il corrispondente accadico è balaggu o balangu (che designava anch’esso un tamburo di grandi dimensioni). Balaĝ-di sembra essere divenuto, quindi, un termine che designa un membranofono, e ne ha indicati diversi nel tempo: oltre al timpano lilissu, talvolta è stato utilizzato per indicare dei tamburi a clessidra, ma sembra essere stato utilizzato anche per il piccolo e leggero tamburo a cornice suonato dalle suonatrici dei templi che poteva essere suonato in movimento (durante i cortei o le circumambulazioni intorno al tempio previste dai rituali) molto più facilmente di un pesante lilissu.
Questa intercambiabilità dei termini, insieme alle difficoltà di ricostruzione di una cultura musicale così lontana nel tempo, ha portato non poche difficoltà all’etnomusicologia che studia la Mezzaluna fertile nel definire nome e tipologia precisa di ogni strumento; secondo il Gadd, ad esempio (in A Sumerian reading book), il balag potrebbe essere “a drum, a timbrel, or possibly a lyre (?)”: ‘un tamburo, un tamburello o forse una lira (?)’.
Tuttavia, tra il III e il II millennio a.e.v. appaiono le prime rappresentazioni inequivocabili di tamburi a cornice, come il tamburo ub (sumero) o huppu/happu (accadico), tenuto al petto in un gesto che era associato anche al lutto; il termine indica anche una danzatrice cultuale, e le lamentatrici vengono descritte nei testi mentre si ‘battono il petto come un uppu’. Talvolta le figurine di suonatrici (che troviamo rappresentate in numerosissime statuette) sono state ritrovate come corredo funerario, un contesto di scoperta estremamente significativo che collega ancora più strettamente le origini del tamburo a cornice con i rituali funebri di passaggio.

Sappiamo dai testi che i gala (kalû in accadico), sacerdoti musicisti appartenenti ad un ‘terzo genere’ non maschile né femminile e strettamente associati ai rituali del tempio, erano addetti specificatamente a un tipo di preghiere: le ‘lamentazioni per la distruzione delle città e dei templi’ a causa delle invasioni nemiche.
Parte dell’ambiguità che circonda il genere del gala potrebbe essere spiegata dalla storia di queste preghiere, che potrebbero aver avuto origine con le lamentazioni funebri condotte dalle donne. Le prime ‘performance’ documentate alle quali hanno partecipato sacerdoti gala erano contesti funebri, nei quali si accompagnavano a lamentatrici. Troviamo sacerdotesse gala (MUNUS.BALAG.DI) e consorterie di lamentatrici gala menzionate in documenti del periodo Antico Accadico e Antico Babilonese, e forse anche in periodi precedenti. Queste origini potrebbero spiegare perché le caratteristiche femminili e il dialetto Emesal, associato alle donne e alle lamentazioni funebri, siano stati collegati successivamente anche alle preghiere dei gala.
Gli strumenti musicali a loro associati includono il piccolo tamburo tamburo a cornice ub/appu, il timpano lilis/lilissu, e un tipo di idiofono metallico, forse un sistro o dei cembali (sumero: meze).
Ricaviamo questo elenco dal testo ‘La maledizione di Akkad’, ritrovato nel tempio di Inanna a Nippur e datato al periodo Ur III della Mesopotamia (2047-1750 a.e.v.), ma di origini leggermente più antiche. Racconta la storia del re accadico Naram-Sin (2261-2224 a.e.v.) e del suo confronto con il dio Enlil, e narra come l’impero creato da Sargon di Akkad cadde e come la città di Akkad fu distrutta:

“Le lamentatrici (‘vecchie donne’, dam-ab-ba) che sopravvissero a quei giorni,
gli uomini piangenti che sopravvissero a quei giorni,
i sommi sacerdoti (gala) sopravvissuti a quegli anni,
per sette giorni e sette notti
collocarono sette balaĝ /tamburi, come se fossero alla base dei cieli,
e fecero risuonare per lui [il dio Enlil] i tamburi ub, meze e lilis in mezzo a loro…”.

L’elenco degli strumenti a percussione nella riga finale differisce in alcuni manoscritti, ma il termine balaĝ è chiaramente l’ambito semantico all’interno del quale ricadono tutti i differenti tipi di tamburi o percussioni enumerati nelle righe sottostanti: i sette strumenti balaĝ; inoltre, seguendo l’ordine in cui vengono presentati i partecipanti al rito e gli strumenti, vediamo che i tamburi a cornice ub sono quelli assegnati alle lamentatrici.

Le preghiere e i lamenti rituali in Emesal sembrano essere di grande antichità, originariamente trasmessi per via orale, e hanno verosimilmente fornito il modello per i testi delle lamentazioni successive. Non erano sempre cantati in modo statico, ma erano piuttosto eseguiti durante processioni e circumambulazioni rituali, in movimento. Ciò è evidente non solo dai testi, ma anche dalla formulazione delle preghiere stesse, che utilizzano un’ampia gamma di verbi di movimento (‘uscire’, ‘girovagare’, ‘andare in cerchio’ o ‘circumambulare’, ‘accelerare il passo’, ‘avvicinarsi’, ‘entrare’), che indicano i differenti passaggi che la processione rituale compiva nel complesso templare e nello spazio esterno ad esso.
Queste processioni potevano essere collegate cosmicamente (sia in senso spaziale che temporale) al corso degli astri: nell’antica Mesopotamia, quelli che noi separiamo in categorie differenti (un testo poetico-letterario, la mitologia, l’azione rituale e il tempo astronomico) erano infatti quattro cardini di un’unica complessa percezione religiosa.
Il sole abbandona il mondo umano ogni sera (lasciandolo nella distruzione e disperazione da cui nascono le lamentazioni) e vi ritorna all’alba. Le processioni da e per il tempio erano dunque concepite teologicamente come la divinità che abbandona il suo tempio e poi vi ritorna. Questo abbandono e ritorno divino, concreto e teologico insieme, era una parte del quotidiano abbandono e ritorno cosmico dei corpi celesti: l’immagine del sole nascente non era solo una similitudine letteraria dell’apparizione divina: ne era una vera e propria manifestazione. Dunque, le preghiere eseguite all’interno di questi contesti rituali, teologici e cosmici non erano solo recitazioni vagamente collegate ad essi, ma erano il modo in cui si svolgeva la concreta attuazione del rituale nei pressi del tempio, in connessione con gli eventi astronomici (Gabbay 2012).
Inanna, considerata figlia del dio del cielo An (a Uruk), oppure del dio della luna Nanna e gemella del dio sole Utu (a Isin), il cui simbolo era una stella a otto punte rappresentante il pianeta Venere (la stella del mattino e della sera), era accompagnata ritualmente nella sua discesa agli inferi da sacerdotesse donne, le lamentatrici che conducevano i canti funebri con il suono dei tamburi.

L’altro contesto in cui l’esecuzione musicale è principalmente femminile è quello del corteggiamento: secondo Cooper, come le lamentazioni funebri, anche le canzoni d’amore sumere derivano da canti femminili; inoltre, molti dei canti d’amore e delle lamentazioni sumere condividono sia l’uso del dialetto Emesal sia i due protagonisti (ovvero la coppia divina formata da Inanna e Dumuzi), nonostante lo stile e il contenuto dei due generi non possa essere più diverso: amanti nei primi, mentre con il ruolo rispettivamente di lamentatrice e di defunto nelle seconde.

 

Bibliografia

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Nudity and Music in Anatolian Mythological Seduction Scenes, in Music in Antiquity The Near East and the Mediterranean, by Joan Goodnick Westenholz, Yossi Maurey and Edwin Seroussi, The Hebrew University of Jerusalem 2014

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Sex and gender in Musical Performance, in Listening to the artifacts. Music Culture in Ancient Palestine

Jerrold S. Cooper
Genre, Gender, and the Sumerian Lamentation, in Journal of Cuneiform Studies, Vol. 58 (2006), pp. 39-47

Richard J. Dumbrill
The Archaeomusicology of the Ancient Near East, 2005

Uri Gabbay
The Balag Instrument and Its Role in the Cult of Ancient Mesopotamia, in Yuval 8, Music in antiquity, 2014
“We are going to the House in Prayer”: Theology, Cultic Topography, and Cosmology in the Emesal Prayers of ancient Mesopotamia, in Heaven on Earth, OIS 9, 2012

Francis W. Galpin
The Music of the Sumerians and Their Immediate Successors, the Babylonians and Assirians, Cambridge University Press, 1937

Samuel Noah Kramer
The Weeping Goddess: Sumerian Prototypes of the Mater Dolorosa, in The Biblical Archaeologist, vol. 46, No. 2 (1983), pp. 69-80, The University of Chicago Press

Piotr Michalowski
On some early Mesopotamian percussionists, in Stories told around the fountain: Papers offered to Piotr Bieliński on His 70th Birthday, ed. A. Pieńkowska, D. Szeląg & I. Zych, 2019, pp. 451-476

T. J. H. Krispijn
Musical ensembles in Ancient Mesapotamia, in Proceedings of The International Conference of Near Eastern Archaeomusicology, Iconea 2008

F. Thureau-Dangin
Les Inscriptions de Sumer et d’Akkad, Paris, E. Leroux 1905, p. 236-237